“Col caffè non si risparmia!” rimprovera Lucariello (Eduardo De Filippo) a Concetta ( Pupella Maggio) in “Natale in casa Cupiello”, colpevole di aver preparato un caffè utilizzando polveri di bassa qualità e senza il dovuto amore, entusiasmo e dedizione che la cultura napoletana del caffè impone. Una frase che racchiude in sé l’intera filosofia napoletana del caffè: poter rinunciare a tutto, ma non ad un buon caffè.
Il caffè per i napoletani non è solo una bevanda, è un rito. Un momento da reiterare il più possibile durante il giorno. Che apre la giornata, che si condivide con gli amici, che accompagna chiacchiere, discorsi, lacrime e risate. Un caffè, a Napoli, non è un momento fugace, ma un lungo istante di piacere. Dolce, amaro, macchiato, corretto, con poco o molto zucchero, con la “presa d’anice”, in vetro, monouso o tazza tradizionale, rigorosamente accompagnato da un bicchiere d’acqua offerto dal bar per “pulire” la bocca da qualsiasi altro sapore che possa modificarne il gusto e l’aroma e inficiare il pieno godimento della tazzulella di caffè.
Un culto che Napoli celebra anche nella sua arte, nella musica, nel teatro, nel cinema.
“ Na tazzullell’ e’ cafè c’a sigarett’a copp pe’ nun vede’…” cantava il compianto Pino Daniele in una delle sue più celebri canzoni, riconoscendo in questa bevanda un ruolo quasi narcotizzante utilizzato dal napoletano per non vedere le sue disgrazie. E ancora De Andrè, che ne celebra il ruolo centrale quale sigillo d’amicizia, con la sua spietata e satirica canzone-denuncia “Don Raffaé”, nella quale la condivisione di un caffè racchiude in sé la collusione dello stato con la malavita organizzata.
Anche i più grandi protagonisti nel cinema e del teatro partenopeo hanno celebrato il caffè ed il suo ruolo centrale nella vita quotidiana dei napoletani, attraverso scene ormai tanto famose da diventare simboli di un culto che, pur trasformandosi nel tempo e piegandosi alle nuove tecnologie, non perde il suo valore sociale.
Un rito irrinunciabile, che richiedeva una particolare lunga preparazione, poeticamente descritta dallo già citato Eduardo De Filippo nella famosa scena del “professore” sul balcone di casa (“Questi fantasmi”), nella quale si descrivono, con precisione chirurgica, le fasi di una preparazione che si conclude con una frase simbolo: “Questo non è caffè, quest’è cioccolata” ossia la consistenza ideale per poter rispecchiare le caratteristiche che lo rendono perfetto per colore e densità.
Come non citare il grande Totò, nella celeberrima scena del film “La banda degli Onesti”, in cui una tazza di caffè diventa il simbolo di una società fatta di sfruttatori e sfruttati, disonesti e onesti, furbi e ingenui.
E ancora Massimo Troisi, che ha celebrato il momento del caffè, analizzandone il suo ruolo sociale, attraverso esilaranti punti di vista, che celano però significati ben più profondi. Indimenticabile è la scena del film “Scusate il ritardo”, in cui Vincenzo (Troisi) si stupisce della presenza di una piccola moka monodose in casa del professore. Una condanna alla solitudine di un uomo solo che, secondo Troisi, dovrebbe invece avere in casa caffettiere per 12, 24 o 48 persone, in modo da aprirsi a nuovi ospiti e compagnie. Ancora una volta, il caffè diventa il centro delle relazioni sociali, sigillo di amicizia e convivialità.
Una storia d’amore, quella tra i napoletani e il caffè, che possiamo riassumere con una nota frase dello scrittore napoletano Erri De Luca: “A riempire una stanza basta una caffettiera sul fuoco”.